Simone Moro e i chiodi ritrovati in parete dopo 22 anni: «Li avevo lasciati con il mio maestro. Ora farò quella via»- Corriere.it

2022-07-30 05:08:28 By : Mr. Tony Wu

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L’alpinista e il tentativo di aprire una nuova via sulla Presolana con Bruno Tassi, poi scomparso. Ci riproverà con i due giovani che hanno ritrovato i chiodi

I chiodi classici e quelli a espansione di Simone Moro ritrovati dopo 22 anni sulla Presolana

Da quando li aveva visti l’ultima volta, il proprietario di quei chiodi ha scalato nove vette sopra gli ottomila metri, aperto nuove vie, pilotato elicotteri, è scampato a valanghe e cadute, e si è anche laureato. E loro sono rimasti lì, in un sacchetto che nel corso di un ventennio si è sfaldato, lasciandoli a guardare la Val di Scalve in bilico su uno strapiombo a metà di una parete della Presolana. C’è voluta la spedizione di due giovani alpinisti per ritrovare e riconsegnare al loro padrone quei grossi chiodi arancioni che Simone Moro aveva abbandonato durante una scalata lasciata a metà e mai più ripresa. Ma che ora l’alpinista completerà proprio insieme a quei due giovani.

Nell’estate del 2000 Moro non ha ancora compiuto 33 anni, ha già visto la cima dei suoi primi tre Ottomila, e si trova ai piedi del massiccio della Presolana con il suo maestro Bruno Tassi, soprannominato Camòs , per dire di quanto gli venisse naturale scalare le montagne. L’idea è quella di aprire una nuova via nella zona centrale della parete Nord: «Volevo continuare la serie di vie che avevo già aperto, e che erano le più difficili da scalare — racconta Moro, che adesso va per i 55 —. Questa nuova sarebbe dovuta andare dalla base alla vetta senza incrociarne altre, e si trovava in una zona che all’epoca era ancora vergine e selvaggia, e quindi molto impegnativa. In passato avevo già saggiato il terreno in quel punto con un primo tiro di corda con un compagno rimasto a terra, ma volevo aprire la via con il mio maestro».

Moro e Tassi fanno tre tiri di corda, si arrampicano per un centinaio di metri, ma quando ne mancano ancora 250 per arrivare in vetta le cose si complicano : «Era già tardi e si avvicinava un temporale, così abbiamo deciso di rientrare. Ho messo i chiodi in un sacchetto e l’ho infilato in una nicchia della parete, poi siamo scesi in corda doppia ripromettendoci di completare la via nei giorni successivi. Poi il brutto tempo era proseguito a lungo e sulla parete nord della Presolana in autunno arriva subito il freddo, almeno così succedeva all’epoca. Così avevamo rimandato all’anno successivo e poi a quello dopo. Ma nel frattempo la mia carriera si era allargata per altre strade e, anche se torno spesso in Presolana perché mi piace, non ho più completato la via ».

E nessun altro lo ha fatto al suo posto perché l’etica degli scalatori impedisce di portare a termine vie lasciate incompiute da altri: «Forse poi il fatto che fossi proprio io ha comportato un certo rispetto, anche se non sono il tipo che in questi casi si sente defraudato». Nel frattempo Simone Moro fa tante altre cose, mentre Bruno Tassi muore a 51 anni in un incidente stradale a San Giovanni Bianco la vigilia di Natale del 2007 , e il sacchetto resta là. Dentro ci sono cinque chiodi classici dipinti di arancione per essere facilmente individuabili in parete, più una decina a espansione necessari nelle pareti molto lisce, tutti prodotti dalla Camp di Premana, da tanti anni sponsor di Moro. Ma non erano stati dimenticati.

«Era abbastanza risaputo, tra i rifugisti e gli arrampicatori che parlavano di nuove vie, che io e Bruno avevamo tentato di aprire quella. Io scherzavo: se passate da lì guardate se ci sono ancora i miei chiodi, e so che qualcuno aveva provato a cercarli senza riuscirci». Li hanno invece trovati qualche giorno fa Maurizio Tasca, 31 anni, di Scanzorosciate, e Matteo Motta, 33 anni, lecchese di Sirone . «Simone mi aveva parlato di quei chiodi — racconta Tasca, guida alpina —. Mentre eravamo in parete siamo andati a vedere, abbiamo notato un chiodo arancione nella roccia, siamo andati un po’ più su e abbiamo trovati gli altri, sparsi fra la nicchia, l’erba e la ghiaia dell’unico punto non verticale della parete».

«Quando me li hanno portati li ho riconosciuti subito — dice Moro —. Loro mi hanno proposto di completare la via con loro e lo faremo, in settembre o l’anno prossimo. In quel punto la roccia ha la forma di una proboscide di elefante, e la voglio chiamare Via della Proboscide . Mi fa piacere farlo con loro perché si tratta di una nuova generazione di arrampicatori, ed è un segno che devo tornare in quel luogo». «Sarà una cosa bella e potremo confrontarci — continua Tasca —. All’epoca loro cercavano il facile nel difficile, noi usiamo sistemi diversi. Si potrà imparare molto».

Ma i chiodi non torneranno sulla parete della Presolana: «È come quando si trova una Topolino nel garage del nonno, magari funziona ma non ci vai in giro. Non conservo mai niente delle mie imprese: piccozze, corde eccetera, invece di tenerli per un museo li ho sempre regalati a chi ne aveva bisogno. Io vivo sempre al presente, per me il passato è andato. Ma questi chiodi sono tra le poche cose rimaste di una mia scalata e li voglio tenere come ricordo di una parte della mia vita ».

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