Tav yarok, il green pass israeliano
Nel corso della lotta contro la pandemia da coronavirus, la voracità della variante Omicron ha richiesto un nuovo approccio per fronteggiare la malattia. Ora sappiamo che Omicron, sebbene sia molto più contagiosa della variante Delta e causi un enorme aumento del numero di casi, tuttavia è meno letale e comporta rischi minori, in particolare per coloro che sono completamente vaccinati. È giunto quindi il momento di rivalutare il green pass (tav yarok, in ebraico) che è stato utilizzato finora. Il green pass è stato molto efficace sia nel ridurre il numero di potenziali portatori assembrati nei luoghi pubblici, sia come strumento per incoraggiare le persone a vaccinarsi. Omicron, tuttavia, lo ha reso meno efficace, soprattutto perché il tasso di vaccinazione oggi è comunque relativamente alto.
In Israele il green pass è stato lanciato nel febbraio 2021 dal Ministero della Salute, sotto l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu. La logica era quella di disporre di uno strumento che permettesse di riaprire gli spazi pubblici riducendo al contempo i possibili focolai di contagio di massa. Il sistema del green pass faceva seguito al grande successo della campagna di vaccinazione anti-covid iniziata in Israele alla fine dell’anno precedente. Nel corso del tempo le regole relative al green pass sono cambiate col mutare del coronavirus stesso, ma il principio è rimasto lo stesso: concedere un lasciapassare alle persone che avevano ricevuto la seconda dose e, successivamente, la terza dose, cioè che erano completamente vaccinate. Il pass viene rilasciato anche a coloro che si sono recentemente ripresi dalla malattia. I cittadini si sono abituati a mostrare il proprio green pass, in forma fisica o tramite la app mobile, per poter accedere a palestre, teatri, hotel, sale da concerto, club, musei ecc.
Un beduino israeliano di 90 anni riceve il richiamo vaccinale vaccino a Rahat, nel Negev
Le autorità israeliane stanno ora discutendo i prossimi passi, visto che il green pass scade a fine mese. Anche alcuni esperti di salute pubblica affermano che ora il green pass, nella sua forma attuale, non è più necessario o efficace. È necessario trovare nuovi modi per creare ambienti il più sicuri possibile. Ovviamente, l’eventuale eliminazione del green pass non elimina la malattia, così come il cambiamento dei metodi di test non ferma la diffusione del virus. La priorità numero uno rimane che il grande pubblico si comporti in modo responsabile, per il proprio bene e come atto di solidarietà sociale. Bisogna anche continuare a incoraggiare la vaccinazione, dai cinque anni d’età in su. Non condividiamo l’approccio adottato dall’Austria e da altri paesi che impongono per obbligo la vaccinazione. Questo genere di misure non dovrebbero essere coercitive. Anziché punire coloro che non vogliono essere vaccinati, si deve premiare quelli che fanno la cosa giusta e si vaccinano. Gli incentivi possono assumere molte forme, come ad esempio sussidi governativi una tantum e agevolazioni fiscali.
L’attenzione deve ora concentrarsi sulla protezione delle persone più a rischio. Non possiamo abbandonare i membri più deboli della società: anziani e malati. È stato suggerito, ad esempio, che si possa implementare un green pass volontario nelle case di cura per anziani e nelle strutture ospedaliere. Ma il pubblico in generale dovrebbe essere libero di tornare a una vita e una routine il più normali possibile. Questo è essenziale sia per mantenere viva l’economia, sia per la salute mentale e il benessere emotivo di tutti noi. Imparare a convivere con il nuovo coronavirus deve diventare più di uno slogan. Il covid-19 è destinato ad accompagnarci ancora per un bel po’, in varie ondate e sotto varie forme. Al momento non è possibile cacciarlo via. La vaccinazione rimane un presidio cruciale, insieme a tamponi a domicilio responsabili, all’uso delle mascherine nei luoghi pubblici chiusi e al rispetto di altre misure precauzionali che ormai conosciamo bene come evitare i sovraffollamenti ed evitare di avventurarsi in pubblico quando c’è anche solo la possibilità di essere contagiosi.
E’ indispensabile rilanciare l’industria del turismo. Riaprire i voli con restrizioni green pass che per molti sono inaccessibili non ha molto senso. Idem per il panorama culturale. Ora che le vaccinazioni e i test a domicilio sono disponibili per tutti, i club e le sale da concerto, i cinema e i ristoranti devono poter tornare a funzionare a pieno regime.
Israele ha la fortuna di disporre di esperti di tutto rispetto nel campo della salute pubblica e della capacità di pensare fuori dagli schemi. Dobbiamo trovare un modo che combini buon senso e senso dell’economia, salute fisica e salute psicologica. È tempo di dare luce verde al superamento del lasciapassare verde (green pass).
Se il boicottaggio si squaglia come un gelato Ben & Jerry’s
TV dell’Autorità Palestinese: “I combattenti palestinesi si sono sempre rifiutati di uccidere civili e bambini”
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Il Ministero della giustizia russo ha chiesto al tribunale distrettuale Basmanny di Mosca di decretare lo scioglimento del ramo locale dell’Agenzia Ebraica, il più grande ente para-governativo israeliano dedicato ad agevolare l’immigrazione ebraica in Israele. Lo ha riferito giovedì pomeriggio l’agenzia di stampa RIA Novosti dicendo che l’udienza è fissata per il 28 luglio. Una decina di giorni fa, il Ministero russo aveva inviato all’Agenzia Ebraica una lettera, citata dal Jerusalem Post, contenente un elenco di presunte violazioni della legge. Secondo una fonte diplomatica israeliana di alto livello, la Russia accusa l’Agenzia Ebraica di raccogliere “illegalmente” informazioni sui cittadini ebrei russi (un’attività che attiene alla sua azione di monitoraggio delle potenziali richieste di aliyà). Va notato che nelle scorse settimane la Russia ha ampliato la sua definizione di “agente straniero” includendo “coloro che prendono parte a qualsiasi attività che le autorità stabiliscono sia contraria agli interessi nazionali della Russia o che ricevono sostegno dall’estero di qualsiasi tipo, non solo monetario”. Queste mosse delle autorità russe potrebbero gravemente ostacolare la facoltà degli ebrei russi di trasferirsi in Israele, riportandoli nella situazione di oltre trent’anni fa. La causa contro l’Agenzia Ebraica arriva nel momento in cui è diventato primo ministro israeliano Yair Lapid, che in precedenza da ministro degli esteri era stato apertamente critico nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, la politica di Israele sull’Ucraina non è cambiata sotto Lapid e Gerusalemme continua a inviare a Kiev solo aiuti umanitari e non militari.
Saranno telecamere telecomandate a fare il lavoro finora svolto delle forze di pace guidate dagli Stati Uniti allo stretto di Tiran (Sharm el-Sheikh), e cioè garantire che sia mantenuta la libertà di accesso al Golfo di Aqaba, la cui costa è condivisa da Israele e da tre stati arabi. L’isola di Tiran, che si trova nello stretto omonimo (il cui blocco da parte dell’Egitto nel maggio 1967 contribuì a scatenare la guerra dei sei giorni), è stata ceduta nel 2017 dall’Egitto all’Arabia Saudita insieme alla vicina isola di Sanafir. Durante la visita in Israele e Arabia Saudita della scorsa settimana, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato che il piccolo contingente “Multinational Force and Observers” a Tiran verrà ritirato e un funzionario ha detto alla Reuters che sarà sostituito da un sistema basato su telecamere. Il contingente aveva il compito di monitorare il rispetto dell’accordo di pace del 1979 tra Egitto e Israele (che prevede anche forze di pace attualmente schierate nel Sinai smilitarizzato). La gestione delle telecamere sull’isola di Tiran, ora controllata da Riad, potrebbe comportare un coordinamento della sicurezza tra Israele e Arabia Saudita, due paesi che al momento che non hanno rapporti diplomatici ufficiali.
Come preannunciato, entro giovedì sera le forze di polizia israeliane hanno fatto sgomberare tutti i sette avamposti illegali (in pratica, accampamenti) istituiti da mercoledì in Cisgiordania ad opera di alcune centinaia di attivisti di un’organizzazione di estrema destra che miravano a mettere il governo di fronte al fatto compiuto.
Uno scavo preventivo, condotto dall’Istituto di Archeologia dell’Università di Gerusalemme presso il Monte del Tempio (in vista dei lavori per garantire un passaggio per disabili tra Città Vecchia e Muro Occidentale), ha portato alla luce un bagno rituale ebraico (mikvè) risalente al tardo periodo del Secondo Tempio (I sec. e.v.), in cima a quella che il coevo storico Giuseppe Flavio definiva “Città Alta”, cioè l’area dove viveva l’élite di Gerusalemme ai tempi di Erode il Grande. Il bagno rituale si trovava all’interno di una villa privata ed è ricavato nel basamento roccioso, con soffitto a volta e pregevoli murature tipiche del periodo erodiano. Nei pressi della villa è stata scoperta una cisterna d’acqua intonacata. La struttura risulta utilizzata fino alla distruzione del Secondo Tempio da parte di Roma nel 70 e.v. Gli scavi, supervisionati da Michal Haber e Oren Gutfeld dell’Università di Gerusalemme, hanno portato alla luce anche altri reperti che vanno dal periodo del Secondo Tempio ai periodi romano-bizantino e ottomano. In particolare, è stata trovata una vasca costruita dai soldati della X Legione di Roma di stanza a Gerusalemme dopo l’istituzione nel 130 e.v. della colonia romana Aelia Capitolina recante le lettere “LXF” (Decima Legio Fretensis), e una lampada bizantina con la scritta in greco “La luce di Cristo risplende per tutti”.
Il bagno rituale ebraico (a sinistra) e i circostanti resti di strutture di epoca erodiana (clicca per ingrandire)
Un video postato su TikTok mostra una recita scolastica in cui gli allievi della scuola superiore araba Anata di Gerusalemme est, vestiti da miliziani, inscenano “l’esecuzione” di altri giovani vestiti ebrei religiosi, bendati e in ginocchio. Nel video, si sente il folto pubblico di allievi esultare mentre gli attori-studenti puntano le armi e sventolano bandiere palestinesi. Il Ministero dell’istruzione israeliano ha condannato l’episodio, chiarendo che la scuola in questione è sotto il pieno controllo amministrativo dell’Autorità Palestinese.
Clicca l’immagine per il video ripostato su Twitter
Colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi martedì dalla striscia di Gaza verso un’officina nella comunità israeliana di Netiv Ha’asara, vicina al confine. Le Forze di Difesa israeliane hanno reagito colpendo un posto d’osservazione di Hamas presso Beit Hanoun, nel nord della striscia. Sabato scorso, poche ore dopo la partenza da Israele del presidente Usa Joe Biden alla volta dell’Arabia Saudita, quattro razzi erano stati lanciati da Gaza verso il sud di Israele. Le forze israeliane avevano reagito colpendo obiettivi militari di Hamas nella striscia. Martedì pomeriggio un autista israeliano 41enne è stato ferito in un attacco terroristico all’arma bianca mentre era alla guida di un autobus, presso lo svincolo Ramot (Gerusalemme nord). L’aggressore palestinese è stato a sua volta ferito da un passante presente alla scena. Hamas ha celebrato l’attentato come “atto eroico”.
Il Comitato Onu contro la tortura (organismo con sede a Ginevra, sussidiario dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani) si concentra per la prima volta sull’Autorità Palestinese per determinare se i suoi comportamenti sono conformi alla “Convenzione delle Nazioni Unite contro tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti”. L’esame riguarda anche le azioni di Hamas nella striscia di Gaza. Il Comitato Onu contro la tortura, composto da 10 membri, ha il compito di esaminare ogni quattro anni tutti i paesi aderenti alla Convenzione (ad oggi, 174). Tuttavia, questa è la prima volta che esamina l’Autorità Palestinese benché essa abbia aderito alla Convenzione sin dal 2014. “Continuano a emergere prove di torture diffuse e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti dei detenuti nelle carceri palestinesi in Cisgiordania e Gaza” dice Hillel Neuer, direttore di “UN Watch” che martedì ha pubblicato sul suo sito web un rapporto che mostra le sistematiche pratiche di tortura utilizzate da Autorità Palestinese e da Hamas sui detenuti tra cui persone LGBTQ, attivisti per i diritti umani e palestinesi accusati di vendere terreni a israeliani o di collaborare in altro modo con lo stato ebraico. Oltre a questo, il Comitato Onu contro la tortura dovrebbe esaminare altri rapporti presentati da ong americane, palestinesi e israeliane tra cui Human Rights Watch, il Palestinian Coalition Against Torture, la Clinic on International Human Rights dell’Università di Gerusalemme e altri che non fanno mai notizia sui mass-media e a livello politico-diplomatico
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